Ricerca Acli Colf: la crisi tocca il lavoro di badante

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Acli colfIl 16 giugno 2014 a Roma, in occasione della Giornata Internazionale delle Lavoratrici e dei Lavoratori Domestici, le Acli hanno presentato i risultati della ricerca “Viaggio nel lavoro di cura. Le trasformazioni del lavoro domestico nella vita quotidiana tra qualità del lavoro e riconoscimento delle competenze* promossa da Acli Colf con il Patronato Acli, realizzata da IREF (Istituto di Ricerche Educative e Formative).

L’indagine è stata svolta attraverso la rete delle Acli, sono state contattate 837 lavoratrici, residenti in 177 comuni, attive nel settore dell’assistenza alle persone: le cosiddette “badanti”. Il campione raccolto per l’indagine è risultato composto per la quasi totalità (94%) da donne, la presenza nel campione di un seppur piccolo gruppo di maschi conferma il risultato di altre indagini e mostra che il lavoro di assistente familiare non è esclusivamente femminile. Sul fronte della provenienza nazionale, sono state intervistate donne e uomini da 35 nazioni diverse. Una badante su quattro è rumena, un altro 25% è di nazionalità ucraina, l’8,3% viene dal Perù, il 7,4% dalla Moldavia. In generale le donne dell’est-europee sono il 64,8% del campione, le intervistate che vengono dall’America Latina il 14,1%, dall’Asia il 6,6%, dall’Africa il 9,2%. Infine, il 5,2% delle lavoratrici è di nazionalità italiana. Quanto alle modalità di svolgimento del lavoro, nel 60% dei casi la lavoratrice coabita con la persona che assiste: è questo un dato da non sottovalutare perché la coabitazione, quasi sempre, implica delle differenze nella quantità e nella qualità della prestazione assistenziale. In generale, il profilo socio-demografico del campione è molto vicino alla rappresentazione tipica della badante: una donna matura, proveniente dall’Est-Europa con un titolo di studio mediamente alto che abita nella casa della persona che assiste.

Le badanti intervistate assistono per lo più persone non autosufficienti dal punto di vista fisico e mentale (42,4%): solo il 19,1% lavora per persone completamente autosufficienti. In pratica, le intervistate si fanno carico di assistere quelle persone che, per le famiglie, rappresentano un vero “rebus assistenziale” poiché hanno bisogni di cura complessi e costanti. Un dato fondamentale per comprendere la situazione lavorativa delle badanti è il supporto di altre figure assistenziali come assistenti domiciliari, infermieri/e, assistenti sociali. Al riguardo, il 60% delle lavoratrici afferma di occuparsi completamente da sola dell’assistenza.

Secondo le badanti intervistate, negli ultimi anni è diventato sempre più difficile lavorare con un contratto di lavoro: il 41,7% si dichiara molto d’accordo con questa considerazione. Allo stesso modo, il 44,3% delle badanti è molto d’accordo con l’idea che negli ultimi anni le famiglie chiedano alle badanti di lavorare di più, senza per questo aumentare lo stipendio. Le lavoratrici sembrano dunque avere una chiara percezione di quello che sta accadendo: la crisi economica ha impattato sugli standard minimi di lavoro, in alcuni casi, provocando un peggioramento: una trasformazione che non riguarda solo orari e salari. Sebbene a causa della crisi, la redditività del lavoro si sia ridotta, l’auto-percezione della professione è positiva: l’81,6% delle donne intervistate non ha remore nel dire a chiunque di fare la badante, mentre il 59,5% è dell’opinione che “badante” sia il termine migliore per descrivere il lavoro che fa (e per questo viene usato anche in questo articolo). Un’espressione per anni considerata squalificante trova l’approvazione della stragrande maggioranza delle lavoratrici. È un dato dall’alto valore simbolico che, però, appare in parziale contraddizione con un’altra opinione espressa dalle intervistate. Alla domanda, “Secondo te la gente sa quanto è importante il lavoro di badante?, il campione si spacca in due gruppi: il 50,5% afferma che le persone comuni hanno una consapevolezza poca o nulla della valenza sociale del lavoro di cura; l’altra metà, invece, esprime un punto di vista positivo. Il lavoro di cura non ha, dunque, nelle percezione di chi lo svolge, caratteristiche socialmente stigmatizzanti ma sconta un deficit di riconoscimento sociale: questa sfasatura può essere una fonte di disillusione per le lavoratrici e influire negativamente sulle motivazioni personali, elemento quest’ultimo che, nello svolgimento di un lavoro stressante e logorante, conta molto.

Raffaella Maioni, responsabile nazionale delle Acli Colf, l’Associazione professionale delle

Acli che “organizza le collaboratrici e i collaboratori familiari”, ha affermato: “Il lavoro di cura in Italia è una derivazione del lavoro domestico che, nel corso del tempo ha assunto una valenza socio-sanitaria, fino a divenire un sistema di cura privato erogato presso l’abitazione della persona assistita”.

Fra i temi della ricerca “Viaggio nel lavoro di cura” spicca quello del logoramento: la ricerca sostiene che il tema del logoramento si salda con la questione della qualità del lavoro: il settore assistenziale è strutturalmente labour intensive, tuttavia i dati su orari e carichi evidenziano la diffusione di fenomeni di sovra-occupazione. Per compensare le perdite salariali si lavora di più, peggiorando l’impatto del lavoro sulla vita personale.

Per far emergere e promuovere il lavoro di cura” – ha affermato Gianni Bottalico, Presidente nazionale delle Acli – “le Acli propongono, tra le altre cose, una maggiore integrazione del lavoro domestico e di cura con i servizi sociali, attraverso politiche sociali che prevedano per la famiglia/datore di lavoro dei meccanismi di sostegno al reddito, come l’intera detraibilità del costo del lavoro di cura”.

Le Acli con i loro servizi di consulenza ai cittadini. come il Patronato, e di formazione professionale, come l’Enaip, lavorano per venire incontro alle necessità delle lavoratrici e dei lavoratori di cura”, ha affermato Paola Vacchina, presidente del Patronato nazionale Acli.

Per il sottosegretario al Lavoro e alle Politiche Sociali, Luigi Bobba, per far fronte alle necessità di cura degli anziani si deve guardare alle esperienze positive che ci sono all’estero, pensando a una misura strutturale che guardi a un orizzonte temporale ampio.

Il risultato finale della ricerca si può riassumere in questa frase: “Negli ultimi anni le famiglie chiedono alle badanti di lavorare di più, senza per questo aumentare lo stipendio. Le lavoratrici sembrano dunque avere una chiara percezione di quello che sta accadendo: la crisi economica ha impattato sugli standard minimi di lavoro, in alcuni casi, provocando un peggioramento”.

Il Direttore – Mariano Amico

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