“Luoghi, parole, gesti di pace”
All’inizio del seminario promosso dalle ACLI su “Luoghi, parole, gesti di pace” è stato affermato che con il termine Pace indica un concetto debole perché l’idea che la maggior parte delle persone hanno è “Pace=assenza di guerra” ma così non è in quanto tutti noi dobbiamo imparare a declinare e usare il termine Pace in tantissimi contesti quali ad esempio giustizia, uguaglianza, solidarietà, rispetto, fratellanza.
Nei 70 anni di vita le ACLI si sono sempre mosse sul tema della Pace, si può affermare che l’argomento Pace fa parte del DNA delle ACLI basti pensare alla marcia Perugia-Assisi, all’essere tra i fondatori della Tavo
la per la Pace e poi Rete della Pace, tra i fondatori di Libera, le missioni in Palestina e Israele, l’Istituto Pace Sviluppo Innovazione Acli (IPSIA) per citare solo alcune manifestazioni promosse.
Per semplificare si può dire che in passato le guerre nel mondo erano soprattutto sviluppate tra due blocchi e in territori circoncisi, ora vi sono molti conflitti, dittature locali che però sono spesso collegate in molti stati perché anche la guerra si è globalizzata per il traffico e vendita di armi, droga, petrolio, materie prime ma anche persone. Oggi bisogna diffondere e portare pace nelle diverse società e nella giustizia per poter assicurare a tutte le persone gli stessi diritti umani, lottare contro la povertà, la fame, le discriminazioni per portare istruzione, lavoro, risorse al patrimonio storico-culturale.
Il terrorismo è considerata la nuova guerra che non permette di vivere sicuri perché non vi sono gli strumenti politici, anche a livello internazionale ed europeo, per risolvere e dare assistenza, basti pensare al fenomeno dei profughi. Possiamo sostenere che le attuali guerre creano tre macro effetti:
- il flusso immigratorio incontrollabile che i muri non fermano. Scappare da una terra in guerra è un diritto e l’ONU e l’Europa non possono dire che non lo è;
- le morti per la stragrande maggioranza sono civili e non militari;
- geopolitica planetaria ha sempre più una incerta traiettoria, stiamo diventando società esclusive invece che inclusive.
Analizzando il temine Pace viene subito in mente che è un concetto astratto, Pace viene definito un termine per differenza ovvero viene sempre collegato ad assenza di guerra ma non è solo questo, dobbiamo imparare a dare il giusto significato alle parole. Ora proviamo ad analizzare alcune parole:
Pace: accordo, armonia, concordia, beatitudine, calma, quiete, riposo, serenità, tranquillità. Pacificare: conciliare, mettere d’accordo, riconciliare, calmare, pacare (da cui pagare). In latino – Pax: accordo, il contrario di guerra, quiete, calma, tranquillità. In ebraico – shalom deriva da un verbo che indica: essere integro, risarcire, restaurare, compiere, avere a sufficienza, pagare (in ambito giuridico)
Guerra: l’etimologia della parola si ricollega all’antico tedesco werra che esprime l’idea della mischia, del groviglio, della scontro disordinato in cui si avviluppano i combattenti in un vero e proprio “macello” (la stessa radice si trova nell’inglese war). Questo modalità di combattimento, tipico delle popolazioni germaniche antiche, si contrapponeva al bellum, modalità di combattimento ordinato tipico dei Romani. Quest’idea di confusione, di disordine, di aggrovigliamento di corpi che provano a distruggersi l’un l’altro, la dice lunga sulla guerra, evidenziando come essa comporti, nella maggior parte dei casi, l’eclissi totale di ogni barlume di umanità.
La relazione ci costituisce come persone, l’ombelico è il segno fisico del nostro essere nati da una relazione che ci segna dal DNA (composto dall’unione di due DNA maschile e femminile) alla nostra psiche. Non possiamo vivere senza essere in relazione, non possiamo scegliere se entrare in relazione con qualcuno ma siamo liberi di scegliere la qualità della relazione con l’altro.
Siamo persone con la propria identità: singolari e in relazione allo stesso tempo. La singolarità si definisce per differenza: fisica (colore della pelle, altezza, forza…), carattere (introverso, estroverso, socievole, scontroso, ecc.), intellettuale (sapere, capacità di mettere in relazione campi diversi, matematica, letteraria ecc.), emotiva (sensibilità, empatia, apatia) e spirituale. C’è una cosa comune: la dignità di essere persona libera e responsabile
Le differenze generano conflitto, il conflitto è desiderio di ciò che possiede l’altro, potere di dominio e paura di essere limitati nella propria libertà. Il conflitto va gestito con libertà, responsabilità e creatività nella persona, tra le persone, nella società, tra stati e nazioni, macro regioni e religioni.
Il conflitto solitamente si gestisce con violenza fisica e/o intimidatoria che impone la propria volontà all’altro non riconoscendolo come interlocutore degno di una relazione giusta, non instaura un dialogo e non usa la parola se non per togliere dignità all’altro. Occorre non avere paura del conflitto ma utilizzarlo come occasione per andare oltre il conflitto. Occorre un metodo, una via (hodos) che conduce oltre (metá) il conflitto – lo trascende per individuare le cause, studiare il decorso e intraprendere la cura.
L’inasprirsi di alcuni conflitti (dichiarati o meno che siano), il moltiplicarsi delle guerre, le conseguenze che queste provocano, in termini di morte, povertà, esodi forzati e quanto ormai è sotto gli occhi di tutti noi, raccomandano alcune attenzioni. In primo luogo la necessità di sottrarsi alla condizione di “essere prigionieri” dell’emergenza; di attivarsi in esperienze dirette di azione volontaria, perché i profughi hanno bisogno senz’altro di aiuti materiali, ma anche di qualcuno che li ascolti, hanno bisogno di portare con sé e condividere la loro storia. È forse venuto il tempo di dismettere l’atteggiamento di sufficienza nei confronti del “pacifismo”, irriso e relegato per troppi anni a un atteggiamento “naif” e poco attento alla realtà. È forse venuto il tempo di spostare il discorso pubblico da quali immagini è lecito mostrare a quali sono le vere ragioni delle guerre.
Come ACLI, come cittadini e cittadine del mondo dobbiamo impegnarci per diffondere la Pace, attraverso dibattiti, smuovendo la politica, lavorando praticamente con i profughi, tutto ciò per non distruggere le fondamenta per una cittadinanza di pace che sono giustizia e relazioni giuste in buone istituzioni. Anche Papa Francesco ha detto: “dove non c’è la giustizia non può esserci la pace”.
Non lasciare che il mondo sarà peggiore perché sarà anche colpa nostra, ricordarsi che bisogna recuperare per e in ciascuno/a la convinzione profonda che sempre è possibile agire in prima persona, e non solo reagire alla minaccia di una loro negazione.
Anna Serafini – Servizio Comunicazione Patronato Acli Alessandria