Quest’anno, il 25 Novembre, non lasciatelo passare senza uno sguardo alle fotografie contenute nella pagina del sito del Corriere della Sera “La Ventisettesima Ora”. Raccoglie le immagini delle 104 donne uccise nel nostro paese dall’inizio dell’anno. Uccise da mariti, fidanzati, spasimanti o vittime di altri tipi di violenza perpetrati da un certo tipo di “maschio” per il quale la vita di una donna vale di meno. Il 25 Novembre è La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con lo scopo di sensibilizzare i governi e i cittadini a combattere un fenomeno terribile che, nonostante la repressione che si è messa in campo in questi anni, non si riesce ancora a debellare. La violenza contro le donne ha radici sociali profonde e investe le responsabilità educative, genitoriali, culturali e istituzionali delle nostre comunità più di quel che l’opinione comune sia disposta ad accettare. La cultura del dominio maschile sulla società, la standardizzazione dei ruoli sociali di genere e quelle forme di “cameratismo” e di “volgarità” che troppo spesso vengono accettate come normali (anche dalla donne) nelle relazioni di gruppo tra maschi contribuiscono a far crescere l’humus di base nel quale matura, troppo spesso, la violenza verso le donne. Tuttavia non possiamo non accorgerci che tutta la violenza contro le donne, quella che va dalla marginalizzazione… sociale alla discriminazione, dagli abusi sessuali alle percosse fino al femminicidio, ha una radice comune nel modo di intendere le relazioni sociali, economiche e politiche che costruiamo quotidianamente. Nel dibattitto pubblico intorno a questo tema sta emergendo una certa “corrente” di pensiero che tende a semplificare identificando la violenza contro le donne con il “genere” maschile, sempre e comunque portatore, più o meno sano, di uno spirito di violenza e, quindi, da controllare e relegare ai margini. Come ACLI pensiamo che questa sia una visione arcaica e controproducente del problema. Per battere definitivamente la violenza contro le donne e con essa tutta la violenza di genere occorre che tra uomo e donna si ristabilisca una alleanza e non una separazione. Una alleanza che sappia ridare valore e misura alle diverse responsabilità (che non sono certo uguali) ma anche e soprattutto che sappia dare forza alle diverse qualità e ricchezze che possono essere orientate, unendosi, a cambiare noi stessi e la società. Padri e madri, mogli e mariti, fidanzati, colleghi, educatori ed educatrici insieme possono dare un contributo vero cambiando, consapevolmente, la qualità delle relazioni quotidiane. Stiamo parlando di un compito comune di cui dobbiamo nuovamente farci carico e verso il quale nessuno deve sentirsi sollevato. Una strada faticosa per ciascuno ma che dobbiamo imboccare subito se vogliamo evitare, alle nostre figlie e ai nostri figli, di doversi ancora interrogare su cosa fare di fronte ad una violenza che sembra sempre rinascere. Certamente una via lunga che non può non essere accompagnata da tutti gli strumenti giuridici, sociali ed normativi necessari ad abbattere gli aspetti più odiosi e deleteri della violenza di genere e che deve farsi anche carico della rieducazione e del ricupero dei maltrattanti se vogliamo uscirne definitivamente.
Guardare i volti e gli sguardi delle donne morte quest’anno, pensarle vicine a noi e amiche può dare a questo 25 Novembre un nuovo significato. Un significato innanzitutto per noi e per il nostro modo di vivere e costruire la relazione e la società che vogliamo. Un significato di cambiamento.
Liliana Magliano – Fonte www.aclipiemonte.it