Le ACLI della provincia di Alessandria accolgono l’appello del Coordinamento Nazionale Donne ACLI per una mobilitazione di tutta l’associazione in occasione dell’8 Marzo. Senza nuovi strumenti di conciliazione tra i tempi di vita e i tempi di lavoro sarà impossibile migliorare la condizione femminile del nostro paese. È un impegno per tutte e tutti.
Servizio Comunicazione Patronato ACLI Alessandria – Anna Serafini
COORDINAMENTO DONNE ACLI 8 marzo 2018 #finchèlavorononcisepari
La ricorrenza della giornata internazionale delle donne, rappresenta per noi donne delle Acli, un’occasione per lanciare un messaggio politico su temi e questioni che più ci stanno a cuore. Quest’anno, in particolare, vogliamo promuovere una campagna sul tema del lavoro e nello specifico sulla conciliazione dei tempi tra lavoro e vita privata, accompagnata dallo slogan “Finché lavoro non ci separi”. Quella della conciliazione dei tempi vita/lavoro, rimane una questione importante e che intendiamo in un duplice senso: sia di separazione (o di percezione di separazione) delle donne dalla famiglia e dai propri tempi di vita a causa del lavoro, sia nell’accezione del cosiddetto gender pay gap (ovvero il divario retributivo di genere tra uomini e donne). Su questo tema è importante continuare a fare sensibilizzazione, soprattutto per le nuove generazioni in quanto continua ad essere trasmessa una cultura in cui sopravvivono molti stereotipi legati al genere, ma anche per riflettere su questi temi in un confronto con le diverse culture che convivono oggi nel nostro Paese.
Non basta uno slogan per cambiare una cultura. Sicuramente però è importante socializzare e riflettere su tali questioni per promuovere e sostenere cambiamenti culturali, che si innervino poi in politiche di armonizzazione fra vita lavorativa e vita famigliare. Sussistono ancora stereotipi che attribuiscono alla donna con famiglia una minore disponibilità da dedicare al lavoro, identificando troppo spesso la quantità di tempo dedicato con la qualità del lavoro. La forte resistenza culturale che continua a relegarle nel ruolo esclusivo di responsabili della cura familiare, le mette di fronte al bivio affetti o lavoro. Occorre agire nell’ottica di una rinnovata considerazione rispetto al ruolo economico, sociale, ma anche identitario e peculiare delle donne nel mondo del lavoro e nella società, e allo stesso tempo responsabilizzare gli uomini al pari delle donne, nei loro compiti di cura nei confronti della propria famiglia, figli, affetti con cui condividono la vita, nonché della cura del luogo domestico. Una redistribuzione dunque delle energie e della cura condivisa che possa tenere insieme e “non separare” genere e generazioni.
La giornata internazionale della donna, quest’anno, coincide con gli esiti delle elezioni politiche: ai decisori della politica chiediamo che, nelle loro agende politiche, mettano come priorità azioni concrete per ridurre la disparità di genere nel mondo del lavoro. “Se ci fosse parità di accesso al lavoro, il Pil del nostro Paese crescerebbe del 7%. Invece le donne continuano ad avere difficoltà ad inserirsi e quando riescono continuano ad essere pagate meno”. Questi i dati di una ricerca della Banca d’Italia illustrati in questi giorni, sostenuti da innumerevoli altre ricerche, che dimostrano come un incremento dell’occupazione femminile determinerebbe un concomitante e proporzionale aumento del Pil italiano.
Favorire l’accesso delle donne al mercato del lavoro, e più in generale la parità di genere, è un passo importante dunque, sia da un punto di vista culturale, ma anche socio-economico.
Di fatto vi è una propensione delle donne italiane ad abbandonare il lavoro in caso di maternità (pratica tra l’altro incentivata dal legislatore, che consente, ad esempio, il pagamento dell’indennità di disoccupazione alle madri che lasciano spontaneamente il lavoro entro l’anno di vita del figlio). Ciò comporta che siano ancora troppe le madri lavoratrici costrette a licenziarsi entro i primi due anni dalla nascita di un figlio, troppe le madri costrette a scegliere fra la propria realizzazione personale e quella professionale, che non dovrebbero mai essere percepite come inconciliabili. Le asimmetrie di genere dipendono da modelli culturali penalizzanti, che impongono difficoltà aggiuntive alle donne sul fronte familiare lavorativo, sociale ed economico
Inoltre, le donne che lavorano scontano da tempo condizioni lavorative svalutanti, ben riassunte dalle misure che calcolano il differenziale retributivo di genere. Secondo le stime ufficiali europee (dati Eurostat) il gender pay gap – calcolato sulla paga oraria – in Italia sarebbe solo del 5,5% (quasi del 20% nel settore privato). Tuttavia, se la procedura di calcolo si allarga a considerare il minor apporto del lavoro femminile nel nostro paese (sia per la maggiore incidenza del part time, di cui almeno il 60% involontario, sia per il minore tasso di occupazione), la forbice si allarga. Di rilievo è anche la segregazione occupazionale, cresciuta negli anni della crisi. La percentuale di donne tra i lavoratori a bassa paga è significativamente aumentata ed è più alto tra le donne anche il fenomeno della sovra-qualificazione: si hanno titoli più alti rispetto a quelli richiesti dal lavoro che si svolge, rendendo spesso vano l’investimento fatto nella scolarizzazione (che, per contro, è più alta tra le donne).
Siamo convinte che per rilanciare e sostenere l’occupazione, in particolare quella femminile, oltre a rafforzare le politiche attive per il lavoro, sia indispensabile mettere al centro le famiglie attraverso il potenziamento dei servizi alla persona, del welfare, di una fiscalità più equa.
Crediamo che una reale democrazia non possa prescindere da leggi di equità e parità, con un impegno a garantire l’indipendenza economica delle donne, a riconoscere la parità tra uomini e donne come obiettivo in sé, a rafforzare nelle politiche economiche e occupazionali, a mettere a disposizione servizi capaci di agevolare l’autonomia femminile e l’accesso al mercato del lavoro.
Le donne delle Acli da tempo sostengono che l’equilibrio tra questi due ambiti, vita privata e lavoro, sarà possibile innanzitutto riconoscendoli come esigenze irrinunciabili della persona: il lavoro perché essenziale per garantire la dignità dell’autonomia economica, ma anche per una propria realizzazione personale (tanto per le donne che per gli uomini); la famiglia e le relazioni affettive, perché ambito primario di confronto, di generazione, di educazione e di cura, indispensabili nel formare le persone a far crescere le comunità. Per superare la crisi odierna, per la rinascita del nostro Paese, le Acli ritengono dunque sia fondamentale investire sulle relazioni buone ed eque dentro e fuori i luoghi di lavoro così come dentro e fuori i luoghi di vita famigliare e privata.
L’obiettivo è quello di arrivare a un’armonizzazione vita/lavoro che tutta la società deve favorire, consentendo di costruire un modello nuovo capace di equilibrare il tempo speso per il benessere personale con quello dedicato al lavoro, agli affetti, alla formazione, alla crescita personale… tutti aspetti che a guardar bene non sono separati, ma uniti, connessi tra di loro.
Come donne delle Acli chiediamo che la conciliazione vita/lavoro sia concepita come un diritto, non come una concessione, e che venga pensata proprio per rendere i nostri luoghi del vivere quotidiano luoghi di lavoro più virtuosi, innovativi, sani… “Finché lavoro non ci separi”.
“E’ importante – afferma Agnese Ranghelli, responsabile nazionale Coordinamento delle Donne Acli – riflettere su tali questioni, per promuovere e sostenere cambiamenti culturali, che si innervino poi in politiche di armonizzazione fra la vita lavorativa e quella familiare.